Wednesday, April 05, 2006

ICI: un inaspettato retroscena

L'ICI sulla prima casa è ingiusta e immorale a un livello che non ve lo immaginate nemmeno. Molti italiani si sono messi non le fette, ma i prosciutti sugli occhi. In effetti ti terrorizzano dicendoti che se il "pizzo" non lo pagate brutte cose succederanno agli asili dei vostri bambini o all'immondizia sotto casa, alle strade della città; ovvero, tutti servizi per i quali mi sembra corretto pagare. Abbattere l'ICI sulla sola prima casa mi sembra un ottimo compromesso. L'ICI è frutto a mio avviso di una visione feudale della terra. Tutto appartiene al signore feudale e chiunque stazioni sulla sua terra gli deve pagare gabella. In "terre nuove" dove tutte queste stratificazioni sclerotizzate non si sono reimpiantate (USA), questa visione non c'è. Non essendoci c'è più incentivo a comprarsi una casa una volta che si forma una nuova famiglia, per per dirne una. L'ICI è il disprezzo per la proprietà privata, e dove esso esiste non c'è una vera società democratica, in quanto si accetta supinamente che l'abitazione che mi appartiene, di fatto, sia sotto il controllo di un ente superiore al quale devo pagare una tassa per continuare a possederla. A sinistra piace questa storia della progressività delle imposte, li fa andare in brodo di giuggiole, in quanto non si toglieranno mai quell'invidia-odio per chi possiede più di loro, eccetto il fatto che quandunque arrivassero essi ad avere molto fanno carte false per trovare esenzioni. L'economia non è un gioco a somma zero, non è come a Monopoli, dove se uno diventa ricco l'altro necessariamente finisce i soldi, il giochino infatti si chiama "Monopoli" mica per niente! Non si può togliere al ricco per dare al povero, si diventa tutti poveri così. Bisogna dare invece l'incentivo e la possibilità per creare altra ricchezza:

"A high tide floats all boats"

L'ICI sulla prima casa si può eccome eliminare, il progetto esiste ed è molto ben spiegato da Renato Brunetta, il quale coinvolge il tutto in un brillante piano di eliminazione progressiva del debito inserito in un'ottica di federalismo fiscale distribuito a livello regionale, provinciale e comunale.

Leggete e meditate.

Ma dove troverà Berlusconi i soldi per eliminare l'Ici sulla prima casa? Bella domanda, ma ancor più bella e seria la risposta. Nel punto 5 del programma della Casa delle libertà, «finanza pubblica», si individua come il patrimonio pubblico dello Stato (di 1800 miliardi di euro), sia superiore al debito pubblico (1500 miliardi di euro). Ma mentre il passivo è collocato come debito pubblico sul mercato e costa; la parte attiva collocabile e valorizzabile (fatta da azioni, crediti, immobili, concessioni, ecc. pari al 40% del totale cioè 700 miliardi di euro) è tutta in mano pubblica, e rende poco.
Si calcola che il grosso del patrimonio pubblico, che può essere collocato e valorizzato sul mercato, circa i due terzi sul totale, vale a dire circa 500 miliardi, è dei governi locali regioni, province, comuni. Ne deriva che se i governi locali privatizzassero in tutto o in parte o mettessero a rendimento di mercato i 500 miliardi in valore dei loro asset, essi potrebbero non solo eliminare tutti i loro debiti, ma anche avviare enormi investimenti.
La proposta della Casa delle libertà è un grande e libero patto tra Stato, Regioni, Province, Comuni, risparmiatori e investitori. Un patto che realizzi il federalismo fiscale solidale, di cui all'art. 119 della Costituzione. L'attuazione di questo federalismo fiscale è ormai da tutti considerata necessaria. Non sarà causa di aumento, ma all'opposto di riduzione della spesa pubblica. Maggiore trasparenza dei conti, maggiore efficienza, minore evasione e minori sprechi. Soprattutto maggiore e più diretto controllo da parte dei cittadini sul governo della cosa pubblica: riducendo il debito dello Stato, immettendo sul mercato una quota corrispondente di patrimonio pubblico; offrendo a risparmiatori e investitori maggiori e migliori opportunità di impiego privato dei loro capitali.
Solo su questa base, non aumentando le tasse sul risparmio, sulle partite Iva, ma abbattendo la manomorta del debito pubblico, ed eliminando le tasse sulla prima casa, l'Italia può ripartire. In particolare, se i comuni mettessero sul mercato, facendole acquistare agli inquilini al valore del canone (come prevede il piano Casa, già legge dello Stato, nella Finanziaria 2006), tutte le loro case, nonché gli altri immobili non strategici, questi ultimi al prezzo di mercato, il ricavato, almeno 30-40 miliardi di euro servirebbe ad abbattere in tutto o in parte il loro debito, e per questa via ad eliminare gli interessi passivi relativi (tra i 2 e i 3 miliardi di euro). Esattamente l'equivalente del mancato gettito dell'Ici prima casa (2,3 miliardi di euro). I conti tornano, vendere tutte le case e i negozi dei comuni che non rendono nulla, e smetterla di tassare le prime case dei cittadini.
Si realizzerebbe così un grande trasferimento di risorse da quel «capitale morto», come lo chiamerebbe l'economista peruviano Hernando De Soto, che è l'edilizia residenziale pubblica che non assolve più alla sua funzione sociale (dare una casa a chi ne ha veramente bisogno), avendo costi troppo alti e ricavi troppo bassi, ai cittadini e al mercato.
Oltre 1 milione e mezzo di famiglie (1 milione di case ex Iacp previsto dal piano Casa già in Finanziaria 2006, e almeno mezzo milione di case dei comuni) diventerebbero proprietarie della propria casa, con l'attivazione di una positiva spirale economica fatta di responsabilità, patrimonializzazione, riqualificazione, ristrutturazione, messa in sicurezza degli edifici e degli impianti. Con il ricavato si potrebbero non solo accendere 600.000 mutui, e realizzare 400.000 affitti sociali per le giovani coppie e chi ne ha bisogno, ma come abbiamo visto, potrebbe essere eliminata del tutto l'Ici sulla prima casa. Con gli italiani più liberi e responsabili: scusate se è poco.

Renato Brunetta


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